L’Ospedale San Gennaro dei Poveri di Napoli è una struttura ospedaliera strettamente intrecciata alla storia della città situata nel centro storico, nel cosiddetto Rione Sanità. La struttura ha una storia antichissima: nata come basilica di San Gennaro fuori le mura (ancora presente all’interno) nel V secolo d.C., a causa della traslazione delle reliquie di San Gennaro a Benevento, cadde in uno stato di abbandono finché il vescovo della città Atanasio la fece restaurare ed annettere al monastero benedettino dei Santi Gennaro e Agrippino nel 872. Dopo alcuni secoli anche il monastero venne abbandonato e qui inizia la storia ospedaliera della struttura: nel 1468 venne infatti riutilizzato dal cardinale Oliviero Carafa che lo trasformò in ospedale per gli appestati. Dopo la peste del 1656, l’ospedale fu ulteriormente ampliato e dotato anche di un ospizio. In seguito ebbe grosse difficoltà economiche, ripianate dal re Gioacchino Murat, dopodiché entrò a far parte, dopo la caduta del Regno delle due Sicilie, della dotazione ospedaliera pubblica del Regno d’Italia prima, della Repubblica poi. Il luogo in cui sorgeva – come si può intuire dal nome “fuori le mura” della basilica originaria – era una zona agricola esterna alla città. Poi, col tempo, soprattutto dopo la Rivoluzione Industriale e sempre più dal XX secolo, la città si è allargata molto oltre il suo perimetro originario dell’età moderna e, così, si è formato il “Rione” Sanità che, dal nome stesso, indica come l’Ospedale venisse considerato il punto nodale della zona cittadina. Come anche in altre città, esistono luoghi identificati chiaramente dalle popolazioni ma, ciononostante, non riconosciuti burocraticamente come circoscrizioni amministrative. In pratica, chiunque abiti ad una determinata distanza da un punto chiave ritiene di abitare in quel determinato luogo cittadino e, spesso, non sa nemmeno bene a quale circoscrizione appartenga burocraticamente il suo luogo di abitazione. A Napoli è il caso dei “Rioni” Sanità e Materdei che sono sorti entrambi nella zona agricola di cui parlavamo prima, sviluppando un forte senso di identità comunitaria che avrà un forte ruolo nella storia che racconteremo, grazie alla testimonianza di un compagno del “Comitato San Gennaro”. Una storia il cui interesse, di là degli aspetti particolari, sarà evidente.
Umanità Nova – d’ora in poi UN: Come gran parte delle strutture ospedaliere italiane, anche l’Ospedale San Gennaro dei Poveri ha subito un forte attacco…
Mauro del Comitato San Gennaro –d’ora in poi MC: Diciamo che è stato un taglio chirurgico, iniziato nel 2014 con il taglio del Pronto Soccorso Ostetrico e man mano sono stati tagliati uno dopo l’altro i vari reparti, creando così anche una certa difficoltà nella reazione dei lavoratori: quattro anni fa l’Ospedale veniva chiuso, creando un enorme difficoltà alla popolazione circostante che, fino a quel momento, aveva goduto della fruizione di un Ospedale con moltissimi reparti ed oltre mille posti letto. Una parte della città, tra l’altro, notevolmente afflitta da una endemica povertà: abbiamo fatto anche una indagine epidemiologica che ha evidenziato come i quartieri periferici della città – tra cui la Sanità – già prima della chiusura dell’Ospedale vedevano tra i suoi abitanti un numero maggiore di malattie ed una minore aspettativa di vita.
UN: Come hanno reagito gli abitanti del “Rione Sanità”?
MC: Abbiamo immediatamente formato un Comitato di Lotta e, in una prima fase, siamo riusciti ad impedire la chiusura della struttura, che sarebbe dovuta avvenire anche prima. Poi, piano piano, come dicevo prima, la cosa è andata avanti: hanno utilizzato, come spesso accade, il folle principio legale per cui un Ospedale per esistere deve avere un minimo di 500 parti all’anno e noi non li raggiungevamo sia pure di poco, pur avendo apparecchiature specialistiche all’avanguardia come una vasca per le nascite.
UN: Che doveva essere un taglio definitivo, ma…?
MC: … ma non ci siamo arresi ed abbiamo continuato la lotta: il Comitato era forte e radicato – anche se uno spera sempre che lo sia ancora di più data la dimensione dello scontro – ed ha iniziato una forte e continua campagna per la sua riapertura. Nel frattempo hanno chiuso praticamente tutti gli ospedali del centro storico (400.000 abitanti) della città senza particolare, purtroppo, opposizione: l’esistenza ed il radicamento del Comitato San Gennaro, credo, ha fatto la differenza. Iniziative di lotta, petizioni, cortei, assemblee pubbliche, fiaccolate, blocchi stradali, tavoli di confronti continuo con le istituzioni, con la politica… abbiamo fatto di tutto ed in maniera continuativa, ancora adesso, senza perderci d’animo. Ovviamente col tempo il numero dei partecipanti è diminuito – ognuno ha i suoi problemi in una zona così povera e non tutti possono reggere a lungo – ma il Comitato ha resistito ed ha continuato ad operare in maniera anche molto creativa e decisa.
UN: Qual è stato l’appoggio degli altri movimenti di opposizione napoletani?
MC: Purtroppo scarso: prima della pandemia non ci si rendeva bene conto della centralità della questione. L’impatto sulla qualità delle nostre vite è, infatti, ad ampio raggio: a parte l’ovvia diminuzione dei supporti sanitari agli individui, un Ospedale è una vera e propria fabbrica che occupa moltissimi lavoratori e lavoratrici con un indotto notevole – la sua chiusura porta la scomparsa di reddito, l’aumento della povertà e l’aumento stesso dei problemi sanitari per cui sarebbe stato necessario. Inoltre molti, quando vedevano che non riuscivano a fare i capetti della situazione si sono defilati: ci fu, infatti, un tentativo iniziale di vari autonominatisi “capipopolo”, supportati anche dalla politica, di prendere la direzione della cosa che, però, fallì grazie alla coscienza dei militanti del Comitato – il desiderio di potere è una brutta bestia da combattere sempre. Siamo giunti anche all’Occupazione dell’Ospedale…
UN: Come ha lavorato il Comitato una volta formatosi?
MC: Con un lavoro certosino, cercando di allargarsi a raggiera verso tutte le componenti del quartiere, senza chiusure pregiudiziali, purché ci si trovasse sul punto fermo della sanità gratuita, ampia e di qualità per tutti e non ci fossero ambiguità sulla cosa. Col tempo, abbiamo anche acquisito una notevole coscienza e progettualità su cosa fosse un Ospedale di quartiere. Il quartiere stesso, in un’assemblea, ci ha chiesto di crearci uno spazio permanente e, così, attualmente gestiamo all’interno dell’Ospedale, un piccolo spazio inutilizzato da oltre vent’anni. Lo stiamo utilizzando non solo per le nostre riunioni ma per fornire strumenti al quartiere di informazione sanitaria, attualmente soprattutto per la questione dei vaccini – tanta gente è impaurita dal battage mediatico e dalla disinformazione in merito – per far partire le Brigate Sanitarie sul territorio, abbiamo collaborato con le USCA, ecc.
UN: Un Comitato contro la chiusura di un Ospedale che ha sede nell’Ospedale stesso crediamo sia una cosa più unica che rara…
MC: Questo non sarebbe stato possibile senza il radicamento e la continuità d’azione del Comitato. In ogni caso, da che era stato chiuso del tutto e tale doveva restare, la nostra azione ha portato gradatamente alla riapertura di vari reparti, sia pure con prestazioni solo ambulatoriali: Otorino, Oculistica, Cardiologia, Nefrologia, Gastroenterologia, Urologia, Diabetologia, Ginecologia, Videoendoscopia, Nefrologia, Chirurgia Oftalmica, Radiologia, Reumatologia, Medicina dello Sport, Pneumologia, Piccola Chirurgia, Endocrinologia, Consultorio, Medicina del Dolore, Psicoterapia… in pratica, a livello ambulatoriale, abbiamo riavuto un po’ tutto, ci manca giusto Ortopedia e poco altro. Ovviamente la lotta continua ed i tranelli sono sempre dietro l’angolo.
UN: In pratica una struttura che doveva fare la fine degli altri quattro Ospedali del centro storico di Napoli – enormi palazzi chiusi ed inutilizzati– è tornato ad essere, almeno, un discreto poliambulatorio…
MC: Infatti ed ancora una volta la lotta ed il radicamento popolare ed organizzativa hanno fatto la differenza e la lotta continua. Stiamo facendo un tentativo organizzativo a livello cittadino – l’Assemblea Permanente sulla Sanità – e continuiamo le iniziative, nel passato abbiamo evitato lo spostamento di molte attrezzature, abbiamo anche fatto un’iniziativa contro il pagamento dei ticket (uno “sciopero alla rovescia” dove abbiamo bloccato gli sportelli del pagamento mentre i dottori continuavano a lavorare), ci siamo coordinati con i lavoratori dell’Ospedale, stiamo costruendo un livello di proposta su cosa deve essere un Ospedale, ospitiamo i senza fissa dimora nei periodi freddi, facciamo nella nostra sede uno sportello d’ascolto sulle varie tematiche sanitarie, stiamo chiedendo attualmente l’istituzione di un primo soccorso per i traumi leggeri nella prospettiva di un successivo Pronto Soccorso… Insieme alle lavoratrici ed ai lavoratori del San Gennaro, che si sono mostrati di notevoli capacità di autoorganizzazione (ad esempio hanno riparato autonomamente, per quanto potevano, il tetto) abbiamo redatto collettivamente un piano di riqualificazione della struttura, nell’ottica di un controllo popolare. Insieme alla Consulta Popolare Sanità e Salute con cui collaboriamo dall’inizio, inoltre, stiamo scrivendo la proposta di un piano sanitario per l’intera città che ci servirà come piattaforma di lotta.
UN: Cosa avete imparato nella lotta?
MC: Innanzitutto l’esperienza ci ha portato nel tempo a far sì che la nostra azione non sia solo per la riapertura degli ospedali chiusi ma per la creazione di nuovi e maggiormente moderni, sia in termini di struttura edilizia sia di macchinari, per il rafforzamento della medicina territoriale, contro lo smembramento delle strutture sanitarie in diverse strutture di gestione. In questa lotta abbiamo poi imparato tante cose: la passione di tante lavoratrici e lavoratori, come i megadirettori generali abbiano solo un ruolo repressivo verso il personale ma sono completamente sottoposti alle decisioni politiche attualmente orientate al neoliberismo e, persino quando vorrebbero fare qualcosa di positivo, sono impediti dai continui tagli allo “stato sociale”, i vari aspetti del ruolo negativo della “privatizzazione”, la necessità non solo di nuove assunzioni ma di una formazione continua, l’importanza di momenti di relazione all’interno del personale… Su quest’ultima cosa, quella che può sembrare una banalità, le mense aziendali che stanno chiudendo permettevano alle persone di conoscersi ed operare meglio. Anche la gerarchia aziendale va messa fortemente in discussione: i processi comunitari, la relazione tra i dipendenti ed il territorio funzionano molto meglio!
UN: Grazie della chiacchierata ed un augurio per il futuro.
MC: Grazie a voi, voglio solo dire alla fine che sono stato felice di aver partecipato e partecipare ancora a questa esperienza, insieme ai lavoratori ed alla gente del quartiere, che spero insegni ad altri come operare in maniera comunitaria sia per ottenere risultati sia per una crescita umana e di coscienza. Ripeto: la sanità è una questione centrale, di là dell’attuale pandemia. Per non dire che l’attuale sviluppo capitalistico ce ne porterà tante altre se non invertiamo la rotta.
Intervista redazionale